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1) Tira anniend ca vièng apprièss. |
Tira avanti che vengo dietro: Tipica espressione di rassegnazione. |
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2) Mazza e panèlla fann r' figli belli |
Botte e pane fanno crescere bene
i figli. Severità e cura contribuiscono ad una sana crescita dei figli. |
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3) And dritt moglie sctorta |
Andatura dritta nel tagliare il
grano moglie imprecisa e pasticciona. |
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4) Chi mprèscta pèrd amic(i) suold e tèsta |
Chi presta perde amici soldi e testa |
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5) Crisct a mèt(e) e la Madonna arraccogl(ie) |
Cristo miete e la Madonna raccoglie.
Dicesi di persona che ha goduto o gode di facile e straordinaria fortuna |
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6) Cuorp d buontiemp |
Corpo de buontempone. Per intendere
chi se la gode senza preoccuparsi più di tanto |
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7) Festa e maltiemp |
Riferimento ad una persona che non
ha voglia di lavorare e cerca solo: Festa e cattivo tempo. |
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8) R' guii d' la tina r' sa r' manier(e). |
I guai della tina li conosce il
mestolo. I problemi di famiglia o di altro gruppo di persone li conoscono
solo i componenti stessi. |
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9) R' lup(o) de la defenza chel che fa penza. |
Il lupo della difenza (contrada del
paese)quello che fa pensa. Chi è in mala fede lo resta comunque in ogni circostanza. |
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10) I m'arresparmie la moglie a r'liett
e chi me vo fott(e) arrét(e) alla fratta |
Io mi do da fare a risparmiare e c'è
qualcuno che spende e spande a mie spese. |
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11) Innar(e) sicch massar(e) ricch. |
Gennaio secco, asciutto, massaro
ricco. Inteso che il gennaio poco nevoso o piovoso fa risparmiare il fieno
per pecore e mucche nella stalla riducendo così le spese dell'azienda. |
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12) La pecra che vrama perd r' vuccon |
La pecora che bela perde il boccone.
Significa che chi chiacchiera perde tempo. |
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13) La risa de r' venerdì n'arriva alla domenca. |
Le risate del venerdì non arrivano
alla domenica. Perchè il venerdì è giorno di penitenza ed il ridere non porta bene. |
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14) La chiecchiara è art leggera. |
Le chiacchiere sono arte leggera. |
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15) Leva l ponia da mien a Crisct. |
Leva i pugni dalle mani di Cristo.
Dicesi di persona che con il suo atteggiamento (comportamento, modi di dire
ecc...) provoca reazione adirata, talvolta violenta, anche nelle persone
pacifiche e tranquille. |
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16) M z' arrvotan l'udella |
Mi si rivoltano le budella. Dicesi
di persona che prova sentimenti di ira, di rabbia, di sdegno, per un torto
morale o materiale subito. |
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17) Magnapan a trademiend |
Mangia pane a tradimento.Chi non lavora per quello che consuma. |
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18) Maie maiesa. |
Maggio maggese, per indicare i periodi per fare le cose. |
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19) Merita d'ess mbcchiet. |
Merita di essere impiccato. Dicesi
di persona che per il suo cattivo comportamento, merita di essere punito severamente. |
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20) Munn è sctat e munn è. |
Mondo è stato e mondo è. Espressione
di delusione. La realtà non cambia: le cose vanno sempre allo stesso modo. |
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21) Muort accis. |
Morto ammazzato. Per indicare un
poco di buono che farà 8sotto forma di auspicio) una brutta fine. |
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22) N' cimndà r' cuon ch dorm. |
Non molestare il cane che dorme. Non
è prudente provocare una persona potenzialmente aggressiva, ma che al
momento è tranquilla e non dà fastidio. |
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23) Ngoppa all latte ne ge cacan mosche. |
Tenere ben celate le cose che
interessano lo stretto abito della famiglia e non farle sapere in giro. |
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24) O tresca o spiccia l'ara. |
trebbia o libera l'aia. Fai quello
che devi fare o togliti di mezzo (sgombra il campo). |
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25) Ogne lena te r' fum sia. |
Ogni legna ha il suo fumo. Ognuno
manifesta la propia indole attraverso il suo modo di agire o di pensare. |
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26) Ogne munn è paes. |
Ogni mondo è paese. Spesso accadono
le stesse cose in paesi diversi e lontani. |
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27) R' figl d' la gallina ghienga. |
Il figlio della gallina bianca.
Dicesi di persona che ritiene o crede di essere speciale o privileggiato rispetto ad altri. |
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28) All squagliè de la nev arriescien r' strunz |
Allo sciogliersi della neve vengono fuori gli stronzi |
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29) R' patreern da l' pan a chi non ha denti. |
Il patreerno da buoni raccolti di
grano a chi non sa dove metterlo, si usa anche dire che da il pane a chi non ha denti. |
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30) R' prim sulcr n'è maiesa. |
Il primo solco non è maggese. Invito
alla prudenza: una buona partenza non significa che tutto vada bene. |
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31) Recotta de crapa, casce de pècra e scamorza de vacca. |
Per indicare il giusto metro delle cose buone. |
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32) Riunion d' vulp struizion d'gallin. |
Riunioni di volpi distruzione di
galline. Per definire gruppi di persone che complottano. |
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33) Si truvat crisct a mèt e la madonna a raccoglie. |
Hai trovato cristo a mietere e la
madonna a raccogliere. Dicesi di persona particolarmente fortunata alle quali va tutto bene. |
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34) Storta va e dritta vènga |
Anche se non fila tutto liscio ma
alla fine il risultato che sia buono. |
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35) T dièng na concia. |
Ti do un sacco di botte. |
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36) Taglia soccia. |
Taglia con precisione, al limite,
senza sprechi, fare parti uguali nel dividere o distribuire qualcosa. |
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37) Tanta vot va r' vucal alla fonte fin a quond se rompe la front. |
Tante volte va il boccale alla fonte
fin quando si rompe la fronte. Attenzione la rudenza non è mai troppa. |
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38) Via d'chien e pan ammull. |
Strada dritta e pane morbido. Dicesi di persone che hanno avuto o pensano di
avere le cose senza nessun sacrificio o sforzo. |
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39) Alla casa de r’ pezziénde ne mancan stozzera. |
Alla casa di pezzenti non mancano
pezzi di pane. Come segno di ospitalità e buona disponibilità per chi ti viene a trovare. |
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40) Quond la fémna ne po’ pescié
curre sindaca a fa cavute. |
Quando la femmina non può orinare
corri sindaco a fare il buco. Il sindaco si deve occupare di tutto,
piacevoli e non piacevoli, essere sempre a disposizione della cittadinanza. |
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41) Le cose de notte r’journ cumpiérne. |
Le cose di notte di giorno
compaiono. Sta per le cose fatte in fretta o in precarie condizioni di
ambiente e di attrezzature trovano il tempo che trovano. |
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42) Vuò pegliè r’pésce pe le miéne dell’iétre. |
Vuoi prendere il pesce per le mani degli altri. |
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43) Esst liss |
Come voleva dimostrarsi, riferito ad
una previsione negativa ma quasi scontata. |
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44) Chi r’pésce vò peglie’ la coda zada mbonne. |
Chi il pesce vuol prendere la coda deve bagnarsi. |
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45) Esce r’ lup da r’ vosche pe
caccià r’ quavaglie da r’ pruot. |
Esce il lupo dal bosco per cacciare
il cavallo dal prato. Per indicare un atteggiamento di prepotenze e sopraffazione. |
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46) Serine de vièrne e cur pulite de
criatura poche dura. |
Il sereno d’inverno e culo pulito
di creatura (neonato) poco dura. Le bizzarie del tempo invernale portano
sempre all’incertezza e instabilità. |
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47) E’ scur a terra de lavoro. Cala
r’sole déntr a r’ suocche. Ha chius a r’ spedalittte. Le neiiarèlle alla
sélva. L’acquora assié la matina. La néve tonna ciarseconna. Natale che r’
sole Pasqua che r’ tezzon. Quond tona chiove, quond lampa scampa é quond
luce adduce. Nuvole a toppa de lana, se ne chiove uoie chiove addumane. Nèia
de vasse bèlle tiémpe ce lasse. |
Tutte espressioni riferite alle
condizioni meteo. E’ scuro verso terra di lavoro significava verso
Caserta, overo verso la valle Ruberta, quindi minacciava di piovere.
Il sole al sacco sta per le nuvole verso il tramonto che schermavano il
sole, per cui massimo 48 ore il tempo da bello poteva portare i
cambiamenti e la pioggia. Quando le nuvole erano compatte e nere da fare
scuro su monte Ca- praro la pioggia era sicura. Le nebbie alla selva
erano foriere di pioggia, come l’abbondante rugiada per la campagna al
mattino. La neve tonda stava a significare che avrebbe fatta l’altra.
Ntale con il sole Pasqua con il tizzone ardente, con il fuoco. Quando
tuona piove, quando ci sono solo lampi, scampa di piovere; quando il
sole è più chiaro del solito arriva la pioggia o la neve. Nuvole a toppe
di lana o piove oggi o piove domani. Le nebbie alle vallate portano il
bel tempo, in quanto sinonimo di alta pressione. |
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48) N’de sié tené tré cice ‘n cuorp. |
Non sai tenerti tre ceci in corpo.
Non sai tenere un segreto, una cosa riservata. |
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49) Si méssa la fraula mbocca a r’lup. |
Hai messo la fragola in bocca al
lupo. Sta per: hai dato solo un contentino, ma che devi dare molto di più. |
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50) R’ liétte come te r’fié accuscì st’adduorme. |
Il letto come te lo prepari così ci
dormi. Sta per: le cose che devi fare precise e puntuali altrimenti fruttano
per quel che sono. |
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51) Ne ge ne stà, ne ge ne mette ca ne ge ne va. |
Non ce n’è, non ce ne mettere che
non ce ne va. Vuol dire che chi non ha cervello, intuito, intelligenza o
tutte le cose migliori di questo mondo, non puoi pretendere di
attribuirgliele a tutti i costi; sarebbe inutile, fatica sprecata. Se è
dotato è bene, altrimenti rimarrà così. |
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52) Quond ne putéme fa orèmus facéme aramus. |
Quando non possiamo pregare,
ariamo. Quando non si può fare una cosa facciamone un’altra, bisogna fare
sempre qualcosa, essere sempre impegnati. |
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53) Quond ne putéme vatt saccra vattéme sacchétte: |
quando non possiamo battere sacchi,
battiamo sacchette. E’ necessario essere sempre attivi mai in ozio. |
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54) Triste è la pècra che ne tè la lana séia. |
Triste è per la pecora che non ha
la sua lana. E’ brutto per chiunque restare soli e senza l’aiuto dei suoi cari. |
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55) Scapla r’ vuove é prèsta r’arate. |
Libera i tuoi buoi e presta il tuo
aratro. Vuol dire che non bi- sogna essere pretenziosi ed ottenere ad ogni
costo dal tuo prossimo ciò che chiedi. |
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56) Eh, mò si iute pe sale n’ prièst. |
Mò sei andato per sale in prestito.
Per dire che hai dovuto fare la faccia del bisognoso. |
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57) Quir core che ne me ne tè, malditt chi me le fa fa’. |
Quel cuore che non me ne tiene,
maledetto chi me lo fa fare. Per indicare chi fa le cose di malavoglia. |
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58) Quond la prima néve arriva a r’
cappucce, vinnete le crape é accattate r’ ciucce. Quond la prima néve
t’arriva all brache vinnete r’ciucce é accattate le crape. |
Quando la prima neve arriva al
cappuccio (alle vette dei monti) venditi le capre e comprati il ciuccio.
Quando la prima neve ti arriva alle braghe, sopra le scarpe, venditi il
ciuccio e comprati le capre. Come una previsione meteorologica: Se la prima
neve è ai monti, sarà un duro inverno, quindi il solo ciuccio non sarà
oneroso dargli da mangiare. Mentre se la neve ti arriva alla caviglia la
vernata z’è fraieta (ha abortito) e quindi sarà dolce e si potranno sfamare
più animali. |
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59) Mittete che chi è mèglie di té é farre le spése. |
Mettiti con chi è meglio te e fagli
le spese. Vuol dire che meglio avere rapporti con le persone di valore che
non le mezze cartucce, anche se ti dovesse costare. |
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60) La fama caccia r’ lup da r’vosche. |
La fame caccia il lupo dal bosco.
La necessità ti costringe a cose incredibili. |
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61) Acchiétte a culm é vinne a rase. |
Compri a colmo e vendi a raso. Per
indicare chi, in modo fin troppo attento fa il proprio ed esclusivo interesse. |
|
62) R’ vruocl è figlie alla foglia. |
Il broccolo è figlio alla verza.
Ovvero tale padre, tale figlio. |
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63) Ne da rètta a suonn. |
Non dare retta al sonno ed ai
sogni. Resta sveglio e presta attenzione alla realtà. |
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64) Mine la préta é annascunne la miéne. |
Meni il colpo e nascondi la mano.
La butti là quasi per caso facendo finta di niente e vedere disinteressato la reazione. |
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65) Mine sètte pe coglie ott. |
Meni sette per cogliere otto. Far
finta di essere contento, ma ne vuoi tutti i vantaggi. |
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66) Cola cummanna Cicce é Cicce cummanna Cola, |
Cola (Nicola) comanda a Ciccio (
Francesco) Ciccio comanda a Cola. Significa che ci si rimbalza i comandi e
gli ordini senza che nessuno li esegue. |
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67) Tertic é tertac, sèmpre r’ chiù ceninne va pe d’acqua. |
Tertic e tertac, sempre il più
piccolo va per acqua. Sta a significare che le cose più rognose devono farle
le persone che meno contano nella scala sociale o di famiglia. |
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68) R’ vov dice curnute all’uosene. |
Il bue dice cornuto all’asino. E’ notorio il significato. |
|
69) R’ pezzènte che va pe l’almosena:
addummanna- “ tié grane da vénne?”. |
Il pezzente che va per elemosina di
colpo chiede: “hai grano da vendere”. La falsità dei comportamenti che
mutano secondo la convenienza. |
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70) N’accucchie du sold pe fa na lira. |
Ti mancano due soldi (centesimi)
per fare una lira. La lira era costituita da venti soldi. Significa che non
sei capace di raggiungere l’obiettivo e ti manca sempre qualcosa. |
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71) Cricche Crocche é miéneca de ngin. |
Cricco Crocco e manico di bastone,
un trio per non combinare nulla. |
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72) Schiérte frusce é piglie preméra. |
Scarti fruscio e pigli primiera.
Scarti la cosa buona per quella meno buona. |
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73) La tupanara féce a cagne l’uocchie pe la coda. |
La talpa cambiò gli occhi per la
coda. Scambiare la cosa buona per la peggiore. |
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74) A r’ quavaglie malditte r’ luce r’ péle. |
Al cavallo maledetto gli luce il
pelo. Augurare le disgrazie ad altri non sta bene, soprattutto perché non
sortiscono effetto, anzi. |
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75) Péle rusce é quavaglie stellate
azzoppare appéna nate. |
Il rosso di pelo ed il cavallo
stellato sbattigli la testa appena sono nati. Un modo di dire che chi è
rosso di pelo va eliminato da subito come un cavallo con la stella, perché
entrambi pazzoidi. |
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76) A r’ quavaglie stracche r’
patrétérn r’ mannatte pur le mosche. |
Al cavallo stanco il padreterno gli
mandò anche le mostre come tormento. La malasorte sembra quasi mai finire. |
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77) Cur rutte é péna pagata. |
Culo rotto e pena pagata.
L’ulteriore sfortuna dopo aver assolto all’obbligo, dopo aver saldato il debito. |
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78) R’cuone pellicciatare porta
sèmpre la pélle cavetuota. |
Il cane che va sempre bisticciandosi
porta sempre la pelle bucata. Chi è litigioso ne porta i segni. |
|
79) Narduocchie vuléva mbarà fa r’figlie a r’ puotre. |
Nardocchio voleva insegnare al padre
come si generavano i figli. Quando si hanno le pretese smisurate e non
rapportate alla realtà. |
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80) R’ ciéglie che le cadì ze mbaratte a vulà. |
L’uccello con il cadere imparò a
volare. L’errore è una comunque una risorsa. |
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81) A le capaballe ogne suont
abballa, a le capammonte ogne suont ze mbonda. |
Andando in di scesa ogni santo
balla, ma in salita ogni santo si riposa. Per dire che l’andamento delle
cose dipende anche dalla durezza dell’ambiente delle circostanze ove si svolgono. |
|
82) Chi fa prima fa du vote. |
Chi fa per primo fa due volte. La
velocità dell’esecuzione premia sempre. |
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83) Chi fila ze véve le vine chi zappa ze véve l’acqua. |
Chi fila beve il vino chi zappa
beve acqua. Il lavoro duro e mal pagato resta quello del contadino. Premiato
è sempre il lavoro comodo. |
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84) La pegnièta quarecchiéta ne véde mié fine. |
La pignatta lesionata non vede mai
la fine. Alle cose lesionate si presta più attenzione e quindi durano più a lungo. |
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85) R’ uié de la pigniéta r’ sa la cucchiéra. |
I guai della pignatta li sa il
cucchiaio. La verità la solo chi la vive. |
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86) Acqua troveda ngrassa caviéglie. |
Acqua sporca ingrassa cavalli.
Bisogna sapersi accontentare perché comunque si ottengono risultati,
indipendentemente dal modo, magari con etichetta e raffinatezza, che si
fanno le cose. Badare al sodo. |
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87) Ogne acqua stuta fuoche. |
Ogni acqua spegne il fuoco. Come
sopra badare al sodo, all’essenziale. |
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88) A voglia a feschié se l’uosene ne vò véve. |
Hai voglia fischiare se l’asino non
vuole bere. E’ inutile stimolare qualcuno se lo stesso non ne ha la voglia. |
|
89) A lavà la coccia a l’uosene,
spriéche acqua, tiémpe é sapone. |
Lavare la testa all’asino sprechi
tempo, acqua e sapone. Fare le cose inutili non frutta, è tempo perso. |
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90) Zomba chi pò decétte r’ruosp a r’vov. |
Salti chi può disse il rospo al
bue. L’esaltazione di arrangiarsi con le proprie doti. |
|
91) Quond chiove la matina tira fore l’accungima. |
Se piove la mattina tira fuori l’
attrezzatura per legare i buoi all’aratro. E’ connesso alla conoscenza della
meteorologia locale, per cui facilmente nel corso della giornata le cose
modificavano e quindi tenersi pronto per il lavoro. |
|
92) Se r’ ciéglie canuscisséne le
grane nesciune metéra chiù. |
Se gli uccelli conoscessero il
grano nessuno più potrebbe mietere. E’ sempre merito di alcune circostanze
favorevoli che si può ottenere il risultato. |
|
93) Te vuò métte a véve che r’ vuov. |
Ti vuoi mettere a bere con i buoi.
Misurati con chi puoi farcela, non pretendere l’impossibile. |
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94) Chi la fa, chi la mantè é chi la dessépa. |
Chi la fa, chi la tiene e chi la
sperpera. E’ riferito alla roba, proprietà, per cui c’è chi la crea, chi la
conserva che se la gode dissipandola. |
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95) Fortuna é chiézze ncur viéte a chi r’ tè. |
Fortune e cazzi in culo beato chi
ce li ha. Per dire la fortuna ti consente sempre di godere in ogni circostanza. |
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96) N’ sole ca ne ge vié, vié
truvanne pur la farina fina. |
Non solo non ci vieni mai, ma vai
cercando anche la farina fine. Non solo ti avvali poco o niente dei miei
servizi, ma li pretendi addirittura al meglio. |
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97) Chiécchiara vò la zita é può zaddorme. |
Chiacchiere va cercando la sposa
per poi addormentarsi. La sposa vuole sempre essere al centro delle
attenzioni per poi addormentarsi nelle braccia dell’amato. |
|
98) All’uort de r’pariént ze cuogliene le foglia. |
Nell’orto dei parenti si coglie la
verza. La roba buona sta nel campo del parente, anche perché è vicina e costa nulla. |
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99) La allina fa l’uov é r’uoll ze dole r’cur. |
La gallina fa l’uovo e il gallo si
duole il culo. Vuol dire che chi non fa niente ha sempre modo di lamentarsi. |
|
100) R’ satulle ne créde a r’affamate. |
Il sazio non crede a chi a fame. Le
cose bisogna viverle direttamente per capirle. |
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101) Quond la zita zè martiéta
iésciene tutte r’nammuriéte. |
Quando la sposa è maritata escono
fuori tutti gli innamorati. A cose fatte tutti sono stati protagonisti. |
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102) Stà buone Rocche, sta bona tutta la Rocca. |
Sta buono Rocco e sta buona tutta
la Rocca. Vale a dire che quando uno sta bene crede che lo stesso sia per
gli altri, ma la realtà e ben diversa. |
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103) Pe r’ peccatore pate r’iuste. |
Per il peccatore la sconta chi è
nel giusto. La realtà e cosi amara che la pena la sconta chi non ha fatto e causato guai. |
|
104) La vècchia che ne vuléva murì
chiù stéva è chiù ne vuléva sapé. |
La vecchia che non era sul punto di
morte voleva essere presa in considerazione ed essere al centro
dell’attenzione. Come tante persone che fanno finta di star male e pretendono tante cure. |
|
105) Chi stipa trova. |
Chi sa conservare trova. Esprime il
concetto del risparmio e non quello dello sperpero. |
|
106) Chi vò và, chi ne vò, cummanna. |
Chi vuole và, chi non vuole
comanda. Chi si attiva ottiene il raggiungimento degli obiettivi,
impegnandosi in prima persona; mentre chi demanda agli altri facilmente non
ottiene risultati. |
|
107) Chi avètte r’ fuoche campatte,
chi avètte le pane murètte. |
Chi ebbe il fuoco visse, chi ebbe
il pane morì. Va riferito alla importanza del fuoco nel periodo invernale
piuttosto che al pane da mangiare. Il vero a volte è ben diverso da quello che appare. |
|
108) Chi è féssa ze sta alla casa séia. |
Chi è fesso se ne sta a casa sua e
non si mette in moto per darsi da fare. |
|
109) Com’è r’ vov accuscì ze r’ fa la sacchetta. |
Come è il bue così fai la
sacchetta. In proporzione alla stazza del bue, della persona, così preparagli da mangiare. |
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110) Ogne picca giova. |
Ogni poco giova. Anche se poco
giova a chi lo ha. Sapersi accontentare. |
|
111) Priéite, avvuchiéte é pulle n’ ze videne mié satulle. |
Preti, avvocati e polli non si
vedono mai satolli. E’ riferito ad alcune categorie di persone che come i
polli non si saziano mai. |
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112) Ceninne é mal cavate. Gruosse é féssa. |
Piccolo ed arzillo, grosso e fesso.
La vivacità paga; l’agilità, la sveltezza alla lunga premiano. |
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113) Ciénte niénte accediérne l’uosene. |
Cento niente ammazzarono l’asino.
L’asino che veniva caricato come se non fosse niente, ad certo punto morì all’improvviso. |
|
114) L’uosene caréia la paglia é l’uosene ze l’ armagna. |
L’asino porta la paglia e lui
stesso se la mangia. Sta a significare le cose che fruttano solo per chi ne
è l’autore e non per altri. |
|
115) Armitte paglia pe ciénte caviéglie. |
Rimetti in fienile paglia per cento cavalli.
Darsi da fare in modo sproporzionato, per indicare l’eccesso. |
|
116) Fa béne é scordale, fa male é pènsace. |
Fai del bene e scordalo, fai del
male e ricordalo. La gratitudine è difficile riaverla, ma la vendetta per
aver fatto qualcosa di male aspettatelo. |
|
117) Addò vié vié so cepolle. |
Dove vai vai sono cipolle. Dovunque ti sposti sono rogne. |
|
118) L’iésene ze pellicciane é le carrucle ze sfasciane. |
Gli asini si litigano e i
recipienti per il trasporto dei covoni si sfasciano. I litigi portano guai a
chi c’entra poco o nulla. |
|
119) Se fié chiéne chiéne c’acchiéppe pure la mamma. |
Se fai pian piano ci prendi anche
la mamma al nido, non solo i piccoli. Le cose fatte con garbo e ponderazione
danno sempre buoni frutti. |
|
120) La sacchétta vacanda n’ze rèie allèrta. |
Il sacco vuoto non si regge in
piedi. Significa che bisogna nutrirsi, per lavorare e resistere alla fatica,
perché la forza vè dal udèlla. |
|
121) Che vuò fa le nozze che r’ fugne. |
Vuoi fare le nozze con i funghi. I
funghi con la cottura ne restano pochi. Per fare un buon pranzo ci vuole
tanta roba e senza risparmiare. |
|
122) Chi fa le béne mèrta d’ èsse accise. |
Chi fa del bene a chi non lo
meriterebbe, merita di essere ucciso. |
|
123) Quond tié la grascia mitte chiéve alla cascia. |
Quando è periodo di ottimo raccolto
metti ma- no alla cassa. Quando non è periodo di magra conviene conservare e
non sperperare in attesa dei tempi di carestia. |
|
124) N’a sentute d’abbiéie se lupe. |
Ne ha sentito di latrati di cani
questo lupo. Descrive chi non si mette paura tanto facilmente. |
|
125) Ca tu mò te miégne chésse, te cola l’unde ncur. |
Che tu hai mangiato anche questo
vuoi mettere lardo al culo. È’ un invito alla moderazione e a non abbuffarsi nel mangiare. |
|
126) O te miégne sa menèstra o te iètte pe la fenèstra. |
O mangi questa minestra o ti butto
dalla finestra. E’ la minaccia rivolta a chi con tante cerimonie non voleva
accomodarsi a mangiare nella casa in cui si era trovato per caso e si stava
consumando il pranzo o la cena. |
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127) Chi prima arriva macena. |
Chi prima arriva macina. La regola
è che, chi prima arriva, è servito per primo. I ritardatari non vanno premiati. |
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128) Vié truvanne pane latte é cucchiéra. |
Vai trovando pane latte e cucchiaio.
Significa che non necessariamente uno debba essere servito e riverito. Ma
rendersi umile ed accomodante. |
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129) Chi ciénte ne fa una n’aspètta. |
Chi ne fa cento se ne aspetta una.
Per chi ne combina tante se ne aspetta una di contro. |
|
130) Una ne fa é ciénte ne pènsa. |
Una ne fa e cento ne pensa.
Riferita a chi è sempre furbesca- mente attivo e pronto per ogni circostanza ed evenienza. |
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131) A une a une, ne tanta folla. |
Ad uno ad uno senza affollarsi.
Tutti verranno esauditi ma rispet- tando l’ordine di arrivo e senza
affollarsi spingendo e reclamando. Tutto arriva per chi sa aspettare. |
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132) Spiérte palazze ca devèntane cantune. |
Sparti palazzi che diventano
cantoni ( grossi blocchi). E’ inutile dividere in mille parti se le stesse
poi diventano di poco conto ed inservibili. |
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133) Quond tié furia….. aspètta. |
Quando hai fretta datti una
calmata. La fretta induce all’errore, conviene fare le cose con calma e precisione. |
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134) Léna vèrde, pane sciurite, vine
d’acite e cipolla callecchièta fiéne l’économia de la casa. |
Legna verde, pane ammuffito, vino d’aceto e cipolla con i germogli fanno
l’economia della casa. E’ una casa dove non si spreca, ma addirittura la
roba va a male per il troppo risparmio. |
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135) Chi sparagna spréca. |
Chi risparmia spreca. L’eccessivo
risparmio porta a far guastare la roba senza godersene. |
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136) Ne zi buone né a fotte né a fa la spia. |
Non sei capace ne a fottere ne a
fare la spia. Non sei capace ne a rubare ne a far da palo, sta per bollare
l’altrui incapacità a fare qualcosa. |
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137) Aie ditta la méssa pe r’ cuazz. |
Ho detto messa per il cazzo. L’auto
ironia per dire che si è fatto qualcosa senza ricavarne niente. |
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138) Chi prima la sénte ncur la tè. |
Chi prima la sente in culo ce l’ha.
Chi per primo ne avverte l’odore ha fatto la puzza. E’ un buttarsi avanti per deviare le indagini. |
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139) Le picca avasta é l’assié uosta. |
Il poco basta il tropo stroppia.
Sapersi accontentare, senza strafare. |
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140) Tira chiù r’ pile de la frégna
al capammonte che ne puore de vuove all’capabballe. |
Tira più un pelo di figa in salita
che un paio di buoi in discesa. Proverbio vecchissimo (sin dall’epoca di
Cicerone che parlava di Erice) ancora e sempre valido. |
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141) L’abbe coglie é la astéma no. |
Avere meraviglia di una cosa ( in
senso negativo su di una persona) ti ricade in testa peggio di una
bestemmia. Vale a dire che può senz’altro capitarti. |
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142) Ne spetuò pe l’aria ca tarvè mbaccia. |
Non sputare per aria che ti ritorna
in faccia. Non farti superiore agli altri disprezzando, magari anche con lo
sputo, potrebbe succedere anche a te. |
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143) Sputa n’ tèrra ch’anduvine. |
Sputa per terra che indovini. Si
usa per sminuire il saccente, vale a dire una operazione che non costa fatica ed impegno. |
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144) Ognune z’avanta la mercanzia séja. |
Ognuno vanta i suoi prodotti, anche
in modo sproporzio- nato ed eccessivo. |
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145) Muort r’ cuone morta la raja. |
Morto il cane morta la rabbia. Con
la morte del cane idrofobo cessa il pericolo di contagio. Sta anche per
indicare che gli effetti cessano se cessa la causa. |
|
146) Ciuppia de chiéne é malatia de
fémmene ne portane cunseguènza. |
Zoppia di cani e malattie di donne
non portano conseguenze. In senso ironico per affermare di non dar troppo
peso a dei fatti e circostanze simili a quelli descritti. |
|
147) L’acqua de r’ mamune te mbonne é ne t’naddune. |
L’acqua dei lentoni ti bagna e non
te ne accorgi. Quando piove con l’acqua fine, sottile, ti bagni senza acorgertene. |
|
148) Acqua fina é fémmena cenénna frécane l’uomene. |
L’acqua fine e la donna di piccola
statura fregano l’uomo (maschio). Perché non si presta conto alle dimensioni
e alla consistenza ma le conseguenze sono per la salute e per i rapporti con
la donna che astutamente lo frega. |
|
149) Quond sciocca sénza viénte n’è maletiémpe. |
Quando nevica senza vento non è
maltempo. Il montanaro sa riconoscere le vere difficoltà. |
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150) Senza suolde ne z’ cantane mésse. |
Senza denaro non si può pagare la
prestazione del prete nel dire messa. Ogni prestazione deve essere
retribuita per cui anche quella fata di sole parole pretende il compenso. |
|
151) Abbiéde alla pagliuca e r’
truove te caccia l’uocchie. |
Badi alla pagliuzza e non alla
trave che ti acceca. Badare alle cose serie e non a quelle di poco conto. |
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152) Vuò truvà l’ache déntra alla paglia. |
Vuoi trovare l’ago nel pagliaio.
Fatica improba e senza risultato, usato anche per deridere chi vuol fare il precisino. |
|
153) Acqua scorre è sanghe strégne. |
Acqua scorre e sangue stringe. La
parentela ( il sangue) è quella che ti aiuta al contrario degli altri
(l’acqua) che scorre e si allontana. |
|
154) Addò ze fatiia, ce resta la schiéppa. |
Dove si lavora si resta la
scheggia di legno. In senso figurato per la lavorazione del legno che,
comunque frutta, anche il solo residuo legnoso da mettere al fuoco. Ogni lavoro spetta premio. |
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155) E’ pulite come r’ péd de r’puorche. |
E’ pulito come il piede del porco. Usato per denigrare chi tende a far
notare la sua assoluta pulizia fisica e morale. |
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156) Vuò da r’ cice a r’ porche. |
Vuoi dare i ceci al porco. Fatica sprecata perché non porta vantaggi
sostanziosi e l’animale non si sazia. |
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157) Vuò métte l’iésene a cumbiétte.
|
Vuoi mettere l’asino a confetti. Come il precedente fare cose che costano e
non portano risultati. |
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158) N’ de pésa nesciuna vlangia. |
Non ti pesa nessuna bilancia. Sta
per colui che è furbo e sfugge a qualsiasi stima della furbizia e modi di
fare a suo esclusivo vantaggio. |
|
159) Scanzate callara ca te tigne. |
Scansati caldaia che ti tingo.
Minaccia inutile e senza senso usata per ironizzare i gradassi. |
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160) Manghe po’ èsse chiù scure de la mésanotte. |
Manco può essere più scuro della
mezzanotte. L’avere ottimismo per una azione, un obiettivo da raggiungere. |
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161) Alla matina ze fa la jurnata. |
La giornata si fa al mattino. La
migliore produzione giornaliera si fa al mattino, anche perché freschi e
riposati. Usato assai per stimolare al lavoro da subito. |
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162) E’ chiù la spésa che la mbrésa. |
E’ più la spesa che l’impresa. E’
come al solito lo stimolo per fare le cose di valore e non cimentarsi nelle facezie. |
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163) Chi la vò cotta e chi la vò cruda. |
Chi la vuole cotta e chi la vuole
cruda. E’ la risposta ironica a chi, pretenziosamente, pretende la
prestazione sentendo i diversi pareri. |
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164) Ancora ne vide la sèrpa che
chiéme Sant Dumineche. |
Ancora non vedi la serpe che chiami
San Domenico. Sta per denigrare coloro che hanno paura ad intraprendere e
fare qualcosa ispirandosi alla tradizione dei serpari che adornavano a
Cocullo la statua di San Domenico che proteggeva dalle serpi. |
|
165) Ne capì asse pe feura. |
Non capire asso per figura. E’ un
invito ad essere attento per evitare malintesi commettendo grossolani errori
come nel gioco delle carte. |
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166) Sié mié viste r’ zingara mète? |
Hai mai visto gli zingari mietere?
Per denigrare chi faceva le cose che non erano di sua pertinenza, mestiere e
senza professionalità specifica. |
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167) Arreviéte alla tréntina lèvate dalla vetrina. |
Arrivato alla trentina togliti
dalla vetrina. E’ inutile mettersi in mostra quando non se ne ha l’età. |
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168) Te cride ca schiusce é fié la bottiglia. |
Credi di soffiare e fai la
bottiglia. La denigrazione del pressappochismo. E’ insito l’invito a fare le cose per bene. |
|
169) Te cride ca schiusce é abbuotte. |
Credi che soffi e gonfi. Come sopra |
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1170) R’ cuone ch’abbaia ne mocceca. |
Cane cha abbaia non morde. Non
aver paura delle strilla e degli strilloni, che come i cani non arrecano
danno. E’ l’invito a non aver paura ed all’audacia. |
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171) Stié sèmpre ncoppa come é l’uoglie. |
Stai sempre sopra come l’olio. Per
sminuire l’importan- za di chi sempre vuol mettersi in mostra a discapito di altri. |
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172) Sié come r’ giuvedì miése alla settimana. |
Sei come mercoledì in mezzo alla settimana. |
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173) Ogne scarpa nova devènta ciavotta. |
Ogni scarpa nuova diventa
ciabatta. Il lento scorrere del tempo fa il suo effetto e produce usura
delle cose e degli uomini. |
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174) R’ vizie de natura te porta alla sepultura. |
Il vizio di natura ti porta alla
sepoltura. La tara caratteriale, del proprio modo di essere, non la cambi,
ma la porti con te fino alla morte. |
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175) Chi nasce quodre ne po’ murì tunne. |
Chi nasce quadrato non può morire tondo. |
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176) Tè r’ clore de r’ cuon che scappa. |
Ha il colore del cane che scappa.
Sta a dire che l’azione è così veloce che non si fa in tempo a coglierne i particolari. |
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177) O trische o spicce l’ara. |
O trebbi o lasci l’aia. E’ un
invito ad essere veloce ed a non essere di intralcio e fare spazio agli altri. |
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178) R’ pire quond è mature casca sénza r’ terture. |
La pera quando è matura cade senza
il bastone di legno da scagliargli contro per farla cadere. Le cose mature
non hanno bisogno di stimoli per averle. |
|
179) Chi tè uocchie é lénga va n’ Sardégna. |
Chi ha lingua va in Sardegna. Chi
è intraprendente che ha spirito di iniziativa e la sa trasmettere con le sue
parole va dappertutto, avrà successo. |
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180) Stiéne come crape é curtiéglie. |
Stanno come le capre ai coltelli.
Essere ai ferri corti, in urto e lite feroce. |
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181) Pan é curtiéglie, nz’arrégnene mié r’ udiéglie. |
Con il pane ed il coltello non si
riempie mai il budello. Usando il coltello si fa meno fatica a mangiare il
pane e quindi se ne mangia assai. Le cose vanno fatte anche con la giusta moderazione. |
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182) L’acqua ze chiéma stizza chi la vò z’arrizza. |
L’acqua si chiama stizza chi la
vuole si alza e la va a prendere. Darsi da fare senza pretendere dagli
altri, non demandare ad altri le richieste per avere ed ottenere le cose. |
|
183) Tié la scusa pronta come le puttane. |
Hai pronta la scusa come le
puttane. E’ un invito colorito ad essere sempre sinceri e non trovare scuse. |
|
184) Tereture e taratara r’ rutte porta r’ sane. |
Tiritera e taratara il rotto porta
il sano. La madre dei profittanti e dei furbi è sempre in cinta. Per cui si
mistifica sempre le cose. |
|
185) N’zì buone pe re Ré, n’zì buone manche pe mé. |
Non sei buono per il Re, non sei
buono manco per me. La considerazione delle giovani da marito che
pretendevano il buon partito nel matrimonio, non solo in soldi e proprietà,
ma anche di buona salute. |
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186) Sutacce mié sutacce come me fié accuscì te facce. |
Setaccio mio setaccio come mi fai
così ti faccio. Per rispondere al trattamento ricevuto si usava questa espressione in rima. |
|
187) Sì fatta terra nera, terra pe r’cice. |
Hai fatto terra nera, terra per i
ceci. Hai preparato bene il terreno rasando tutto, arandolo e preparandolo
per la semina. Ma era anche riferito alle ruberie dei ceci, che nottetempo
si perpetravano nei campi dei vicini, estirpando anche erbe ed altre piante
(fagioli), rendendo il terreno scuro e privo di piante. |
|
188) Ha fatte terra pe r’ cice. |
Ha fatto terra per i ceci.
Significato colorito e macabro per indicare colui che era stato seppellito e
le conseguenze erano di aver ingrassato il terreno come se lo stesso dovesse
essere seminato di ceci. |
|
189) Quond la papara va alla
montagna, piglia la zappa e va a guadagna. |
Quando la papera va alla montagna,
piglia la zappa e vai a lavorare per guadagnare. E’ la visione di stormi di
papere che trascorso l’inverno a sud emigravano verso nord e il fenomeno era
foriero di bel tempo. |
|
190) R’vove che r’ péle nire, né ara,
né trésca e né tira. |
Il bue dal pelo nero, non ara, non
trebbia e non tira. Il bue non di razza podolica o marchigiana, ma
imbastardito e di altre razze mal si adattava al giogo e non avrebbe reso
nel lavoro, qualunque esso fosse stato. |
|
191) Febbrare, curte é amare. |
Febbraio corto e amaro. Per
ricordare che comunque il freddo era ancora pungente e duraturo. |
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192) Marze marzitte, l’uonie mia ha misse r’ curnitte se marze arrengrogna r’ fa cadì la carne e l’ogna. |
Marzo marzetto, il mio agnellino ha messo il cornetto, se marzo si incrudisce
gli farà saltare la pelle la crne e l’unghia. In alta montagna mai fidarsi di marzo, mese della
primavera, perché a volte risulta un mese dal freddo e con la neve. |
|
193) Alla cannellora la vernata è
sciuta fore, arrespunnètte Sant Biage, la vernata ancora trasce. |
Alla candelora l’invernata è uscita
fuori, rispose San Biagio l’inverno ancora entra. Non è proprio locale, ma
con la transumanza probabilmente importato dalle Puglie, perché la parola
trasce non fa parte del nostro dialetto. |
|
194) R’ tiémp è ore, triste a chi r’spréca. |
Il tempo è oro, triste è per chi lo
spreca. La cosa più preziosa non può essere sprecata. Darsi a fare non
perdere tempo porta sempre guadagno e ricchezza. |
|
195) Acqua é mort stiéne arréte alla porta. |
Acqua e morte stanno dietro la
porta. La imprevedibilità delle cose come la pioggia ed addirittura la morte
sono sempre a portata di mano. |
|
195) Accide la allina quond la mort s’avvecina. |
Uccidi la gallina quando la morte
si avvicina. Ahimè uccidi la gallina quando si avvicina la morte, ovvero ora
che non si può più gustare ed apprezzarne la qualità della carne. |
|
197) Aie arraccumannata la pecra a r’ lupe. |
Ho raccomandato la pecora al lupo.
Come dire che il mio ammonimento non ha subito alcun effetto, amara constatazione. |
|
198) Te volle nganna. |
Muori dalla voglia. Non vedi l’ora
di possedere una cosa. |
|
199) Ncur t’entra è ncape no. |
In culo ti entra ma in testa no.
E’ un rimprovero a chi testardamente vuol fare come lui crede in spregio ai
consigli ed ai comandi altrui. |
|
200) Da na récchia te éntra e
dall’atra te èsce. |
Da un’orecchio ti entra e
dall’altro ti esce. E’ simile a quello che non c’è più sordo di chi non vuol sentire. |
|
201) Picca malditte è subete. |
Poco maledetto e subito. Le cose
senza sacrificio e merito. |
|
202) La sèrpa cenénna ze magna chéla grossa. |
La serpe piccola mangia quella
grossa. La meraviglia per sottolineare l’ardimento nel fare qualcosa da
parte di qualcuno da cui non te lo aspetti. |
|
203) Ngoppa a le cuotte l’acqua vullita. |
Sopra il cotto l’acqua bollita.
Sta a significare il soprag- giungere di un altro evento dannoso a scapito
dello stesso soggetto. |
|
204) Fié la ulia pur’al cacate. |
Hai la voglia anche delle cose
insignificanti e magari luride. Per stimolare gli interessi di cose più
nobili e significative. |
|
205) Parla tu fa che ne truove chi t’ascota. |
Parla tu, fai che qualcuno ti
ascolti… Evitare di parlare a vanvera e che il tuo dire cadi nel vuoto. |
|
206) Cazze capisc e cotca no. |
Cazzo capisci e non cotica. Vuoi
capire volutamente solo quello che ti interessa. |
|
207) Quonde r’ cur canta r’ miédeche crépa. |
Quando il culo canta il medico
muore. Facilmente intuibile che quando uno va di corpo è in buona salute. |
|
208) Da r’cuope vè la tigna e da
r’piéde vè l’infermetà. |
Dal capo viene la tigna dai piedi l’infermità. |
|
209) R’ monaca vergugnuse porta la vesaccia vacanta. |
Il monaco vergognoso porta la
bisaccia vuota. Avere coraggio ed intraprendenza altrimenti si rischia la fame. |
|
210) L’utma rota de r’ carre zizla. |
L’ultima ruota del carro cigola. Chi meno conta comunque si fa sentire per quello che fa. |
|
211) Ne cementà r’ cuone che dorme. |
Non dare fastidio al cane che
dorme. Non portare cimenti a chi si cura delle sue cose, altrimenti ne paghi le conseguenze. |
|
212) Trica statte é ne te move. |
Perdi tempo e non ti muovi. Sta
per sollecitare chi è lento e non si da da fare. |
|
213) La saietta gira gira arvé
nguoglie a chi la tira. |
Gira e rigira, la maledizione
ricade su chi la scaglia. |
|
214) Si’ come ne chiuove de carrozza. |
Sei come un chiodo di carrozza. Sei
Come quello dell’ultima ruota del carro. |
|
215) Mò si fatte r’ cavut déntra all’acqua. |
Hai fatto il buco all’acqua. Fatica
sprecata ed inutile come fare il buco all’acqua. Usato anche per sminuire
l’azione altrui. |
|
216) Aie menute pe truvà grazia é aie
truvate giustizia. |
Sono venuto per cercare grazia e ho
trovato giustizia. Il lamento di chi non ha ricevuto il trattamento sperato. |
|
217) T’aia métte a pan’ é acqua. |
Ti devo mettere a pane ed acqua. Ti
devo, in segno di punizione, anche razionare il cibo. |
|
218) Chiégne come cagna r’ viént. |
Cambi come cambia il vento: Non
mantiene fede a quanto promesso. |
|
219) Com è l’arbere accuscì farre la mereja. |
Come grande l’albero così fagli il
trattamento. E’ simile al sacco per alimentare il bue, per la sua stazza. |
|
220) Na vota se la féce fa la volpa,
può c’apparatte la coda. |
Solo una volta se la fece fare la
volpe poi ci pose riparo. Chi è attento non si fa fregare due volte. |
|
221) Sì forte come é l’acite: |
Sei forte come l’aceto. Per denigrare chi si mette in mezzo per far valere la sua forza. |
|
222) Addò arrive chiénta r’ pezzuche. |
Quando arrivi pianta il bastone
appuntito. Richiama il lavoro di campagna per la semina dei fagioli, mais
e altri semi svolta sul terreno preparato con un bastone (in genere ricurvo)
appuntito con cui fare un buco nel terreno per il seme. Sta quindi per indicare
che alla fine del lavoro si lasciava infilato il bastone nel terreno. |
|
223) Viéta addò ze posa e triste addò taménde. |
Beata dove si posa e triste dove
guarda. E’ riferito alla civetta, perché, secondo la superstizione locale,
portava disgrazia a chi guardava e buona sorte dove si andava a posare (sulla casa). |
|
224) Chi n’ tè che fa pètna la atta. |
Chi non ha niente da fare pettina la gatta. Chi ozia riempie il tempo con delle cose senza significato e valore. |
|
225) Acqua passata ne macena chiù. |
Acqua passata non macina più. Tutte le possibilità sono andate perdute, ormai e tutto inutile. |
|
226) Tutte r’ juorne patane, patane.
Iuorne de fèsta patane a menèstra. La vita ze chenzuma che le patane é che
r’ fasciuole. Quond la morte s’avvecina t’accidene pure la allina. |
Tutti giorni patate, patate. Il
giorno della festa patate a minestra. In punto di morte ti ammazzano la gal-
lina. Quasi una imprecazione verso il proprio stato miserevole di vita,
connotata dal solito cibo, che non cambia nemmeno nella giornata di festa.
Le cose cambiano, ahimè, solo in punto di morte, quando non se ne può
apprezzare la bontà. |
|
227) La céra ze chenzuma é la prucession ne camina. |
La cera si consuma e la processione non cammina. Le cose che non vengono fatte con una certa solerzia sono solo dannose e consumano le risorse. |
|
228) Pe le schiocche é sciarapalle Die lavora. |
Per le sciocche e le sciagurate Dio lavora. Dio ha tutti nel cuore anche e soprattutto i meno dotati. |
|
229) R’ liétte se chiama rosa, se nge duorme ce s’arposa. |
Il letto si chiama rosa se non ci dormi ci riposi. Nella civiltà contadina il letto era un lusso per cui il solo averlo era grande soddisfazione. |
|
229) Iénnare, sfacia casciune é quatnare. |
Gennaio sfascia cassoni e focolai. A gennaio per il trop-
po uso si rompono i cassoni, dove era conservato il grano e i focolai per il continuo uso onde far fronte alla fredda stagione, ma anche i sottotetti ove era riposta la legna. |
|
230) Chi ne ioca a Natale, chi ne balla a carnevale chi n’ze mbriéca n’ Sant Martine fa na brutta fine. |
Chi non gioca a Natale, chi non balla a carnevale e chi non si ubriaca in San Martino
(considerata la festa dei cornuti) farà una brutta fine. A tutto e per tutto c’è il suo tempo per
godere in vita. |
|
231) Ciéglie é spenaruole cuogliere quond r’truove. |
Uccelli e spinaroli prendili quando li trovi. Gli uccelli nel nido come gli spinaroli prendili quando li trovi. Certe occasioni non fartele
scappare, quando capitano. |
|
232) Na mamma campa ciénte figlie, ciénte figlie n’ campane na mamma. |
Una mamma riesce a
campare cento figli, cento figli non sono capaci di campare una madre. Basti vedere quel che
succede oggi per averne la precisa corrispondenza. |
|
233) Stipa sempre la caroccia pe maje. |
Conserva sempre il ciocco per maggio, perché spesso si
verificano il colpi di coda dell’inverno. |
|
234) Figlia n’fascia, dote alla cascia. |
Se hai una figlia nelle fasce provvedi a fargli la dote e conservala nel baule. Sii previdente nel fare la dote alla figlia femmina. |
|
235) Na miéne lava l’atra tutte é du lavane la faccia. |
Una mano lava l’altra, tutte due lavano la faccia. Sta per l’unione fa la forza. |
|
236) Alla prima acqua d’auste armittete r’ buste. |
Alla prima acqua di agosto rimetti il busto. Alle
prime piogge di agosto rimetti gli abiti pesanti, perché a r’ uost l’estate è finita. |
|
237) R’ vosche n’tè uocchie e ce véde, n’tè récchie e ce sènte. |
Il bosco non ha occhi e ci vede,
non ha orecchi e ci sente. Nella civiltà contadina era d’uopo non fidarsi di nessuno, per cui ci si
sentiva spiati ed ascoltati anche se soli nel bosco. |
|
238) Uocchie dritte core afflitte , uocchie manche core franche. |
Quando batte l’occhio destro cuore afflitto, quando batte sinistro cuore franco. Nelle superstizione contadina, comunque è doveroso dare una spiegazione a tutto, per cui quando batte il destro c’è pena d’amore quando è il
sinistro il cuore e libero dalle stesse pene. |
|
239) Una léna ne fa fuoche. |
Una sola legna non può fare fuoco, è nell’unione la forza per risolvere alcuni problemi. |
|
240) Chi sparagna fa r’uadagne, ze vota a réte chi sparagna spréca. |
Chi risparmia fa il guadagno,
ma si volta indietro chi ha risparmiato, ma in realtà ha sprecato le opportunità di crescita. |
|
241) R’ figlie mupe r’capisce suole la mamma. |
Il figlio muto lo capisce solo la madre. La dedizione materna per un figlio è unico ed incomparabile esempio di amore ed affetto
disinteressato che, anche in questo detto, trova validità e conferma. |
|
242) Lopra tra lopra n’ ze moccecane. |
Lupi tra lupi non si mordono. E’ riferito al fatto che talune
appartenenze (di ceto e categoria sociale), portano alla compattezza e all’unione di interessi. |
|
243) La carta è amante …(de r’féssa), é r’ ciucce paha. |
La carta è amante …dei fessi. E l’asino
paga. E’ la tipica espressione usata, con l’aggiunta sottintesa tra parentesi, dopo aver perso al
gioco, con la risposta sarcastica e ironica del vincitore. |
|
244) R’patrétèrne r’fa é r’diévre r’accocchia. |
Il padreterno li crea e il diavolo li accoppia. Signifi-
ca che i pessimi soggetti diventano tali anche perché uniti dall’influenza nefasta dei loro scopi. |
|
245) La fémmena quond è vècchia ha perduta la vertù, la trippa z’avverrécchia é la chitarra nz’ona chiù. |
Quando la femmina è vecchia perde ogni virtù, la pancia ha le smagliature e la “chitar-
ra) non suona più. In una visione maschilista la donna con l’età sembra perdere tutte le doti
della femmina in chiave erotico sessuale. |
|
246) Dudece so r’misce é tridece so le lune, la notte chiù longa è pe chi dorme all’addeiune. |
Dodici sono i mesi in un anno e tredici sono le lune, la notte è più lunga per chi è digiuno.
Nella civiltà contadina il tempo era segnato dai mesi, ovvero con il passaggio del sole lungo
l’eclittica e quindi nelle costellazioni dello zodiaco, ma anche con le lune. Una frazione di
esse, la nottata, diventava lunghissima per chi ahimè era a digiuno. |
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247) Mèglie a èsse chernute che mal’sentute. |
Meglio essere cornuto che mal ascoltato. Il
mancato ascolto viene visto come una offesa alla dignità della persona, più che renderlo becco. |
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248) La coccia che ne parla è chiamata checoccia. |
La testa che non parla è chiamata cocuzza. Chi
non esprime il suo pensiero, le sue sensazioni restandosene muto ed indifferente viene appella-
to come zuccone, come testa vuoto a perdere. |
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249) N’avute d’abbéie se lupe. |
Ne ha avuti di latrati questo lupo. Sta per colui che non ha paura e
che imperterrito prosegue nelle sue attività infischiandosene di tutto e tutti. |
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250) Cacciature é acchiéppa ciéglie fiéne r’ figlie puveriéglie. |
Cacciatori ed acchiappa uccelli
fanno i figli poverelli. Sta per denigrare i cacciatori che, per seguire la loro passione, non
badano alle cose della famiglia rischiando di non provvedere ad essa. |
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251) Se va caccia pe na béccaccia, pe na magniéta é na cacaccia. |
Si va a caccia per una beccaccia,
per una mangiata e una cagata. La denigrazione si fa più acuta, si va a caccia per la selvaggina
nobile come la beccaccia, ma si ritorna a casa dopo una mangiata e…. |
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252) N’è la atta, ma è la padrona ch’è matta. |
Non è la gatta che fa dispetti, ma è la padrona che
lascia le cose senza riporle al loro posto. |
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253) Chi z’arponne la muglica r’juorne appriésse ze la trita, chi z’arponne la crosca juorne appriésse ze la rosca. |
Chi conserva la mollica il giorno dopo la mangia, chi conserva la crosta il giorno
dopo la rosica. Il risparmio porta sempre bene rispetto allo spreco. |
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254) Ché te viéne le scarpe strétte? |
Ti vanno le scarpe strette, per cui dirti la verità scotta. |
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255) Chi semènta chiovra arraccoglie centrélle. |
Chi semina chiodi raccoglie i chiodi più grossi. E’ l’equivalente di chi semina vento raccoglie tempesta. Le centrélle erano i chiodi che si
mettevano a protezione delle suola sotto le scarpe. |
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256) Figlia fémmena e mala nuttata. |
Figlia femmina e brutta nottata. Nella società contadina,
patriarcale e maschilista, la figlia femmina era considerata quasi una disgrazia e non una
risorsa preziosa di braccia da lavoro, come quelle di un maschio. |
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257) Trica, statte é ne te move. |
Perdi tempo, stai fermo e non muoverti. L’amara constatazione e
rimprovero da muovere a chi sonnecchia, perde tempo e non fa nulla. |
L'amico Benedetto, nei meandri della memoria e nei ricordi dell’infanzia,
ha rinvenuto i seguenti versi, una chicca oserei dire, che suo padre Antonio
recitava, ripescandoli anch’egli dalle reminiscenze giovanili.
Forse sono le parole più arcaiche del nostro dialetto che trovano l’esaltazione nella
fantasia gioiosa della composizione, pur nella drammaticità degli eventi trattati.
Credo che, più di tante altre parole, illustri il modo di essere della gente nostra.